di Claudio Bertolotti
L’area
mediorientale così come l’abbiamo conosciuta sino a ora è irreversibilmente
destabilizzata. Il Medio Oriente composto dagli Stati e dai confini nazionali
definiti il secolo scorso è definitivamente scomparso, sebbene sia presto per
parlare di ridefinizione politica e geografica.
La
guerra civile siriana e l’espansione del Califfato islamico, Stato Islamico,
IS, ISIS o ISIL – Islamic State in Iraq and Sham (o Levant) –
ha portato alla comparsa di un attore molto forte che, sebbene non riconosciuto
sul piano formale, si è imposto come proto-Stato teocratico (sunnita) in fase
di espansione regionale e con forti “manifestazioni” a livello globale. Una
realtà che è in grado di detenere il monopolio della violenza, gestire una
propria economia, amministrare la “giustizia” e offrire servizi pubblici a una
popolazione stimata di circa sei milioni di abitanti, tra Iraq e Siria: tutto
ciò anche attraverso la vendita sottocosto di petrolio. Ma alla preoccupante
espansione geografica si unisce quella virtuale e propagandistica condotta sul
piano mediatico.
Un’avanzata
repentina che è giunta al Mediterraneo, attraverso l’affiliazione di gruppi
jihadisti locali, dall’Algeria alla Libia. Ma, sebbene l’attenzione mediatica
sia concentrata sul fronte principale siro-iracheno – quello che vede impegnata
la nuova Coalizione di oltre quaranta paesi, molti dei quali arabi, e la tacita
quanto opportuna collaborazione tra Usa, Siria e Iran –, anche il Libano è
stato travolto dal fenomeno IS (Stato islamico), così come il conflitto
israele-palestinese è stato interessato da ripercussioni più o meno dirette.
In
particolare, la penetrazione e le capacità operative dell’IS in Libano sono
significative; numerosi sono i combattimenti registrati tra unità dell’IS e
l’esercito nazionale libanese.
Libano
del nord: l’IS dalla Bekaa a Tripoli
Quello
che si sta preparando in Libano è il possibile avvio (o riavvio) di una nuova
fase di guerra civile; certamente ridotta rispetto al conflitto aperto sul
fronte siriano o iracheno, ma pur sempre una guerra combattuta e che porta l’IS
a imporsi su un’ampia fascia di territorio che va dall’Iraq al Mediterraneo.
Arsal
In
particolare, l’area libanese di Arsal è luogo di scontro fisico tra forze di
sicurezza libanesi affiancate da Hezbollah, da un lato, e jihadisti,
dall’altro, – nominalmente il gruppo qaedista Jabhat al-Nusra di recente
schieratosi con il califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, dunque combattenti
dell’IS.
Arsal,
attaccata nel mese di agosto dall’IS, è una città della Valle della Beqaa, in
prossimità del confine siriano e con una popolazione di circa 40.000 abitanti a
predominanza sunnita; ma è anche la città che ospita il più alto numero di
profughi in fuga dalla guerra in Siria: almeno 1.100.000 sono i rifugiati
registrati nell’area dall’Onu. E Arsal ha un’importanza strategica per i gruppi
jihadisti in quanto zona franca utilizzata come base di supporto e
riorganizzazione per le operazioni in territorio siriano.
Qui,
in occasione di un importante confronto armato, i combattenti dell’IS hanno
occupato importanti edifici civili: una scuola, un ospedale e una moschea; con
ciò confermando una tecnica ampiamente utilizzata nell’attuale conflitto, così
come già in quello israelo-palestinese: indurre il nemico (in genere le forze
governative) a colpire obiettivi non militari in modo da provocare una
funzionale reazione da parte dell’opinione pubblica, locale e internazionale.
L’esercito
libanese, militarmente non preparato ad affrontare uno scontro allargato, si
sta muovendo con estrema cautela cercando di evitare un inasprimento del
conflitto e scongiurando l’inizio di una vera e propria guerra sul territorio
del Libano. Ma gli scontri sono sempre più intensi e numerosi; così come
intensa è l’opera di propaganda mass-mediatica e tradizionale condotta dai
combattenti jihadisti proprio in Libano.
Nel
complesso sono oltre cinquanta gli appartenenti ai gruppi jihadisti che
l’esercito libanese ha dichiarato di aver ucciso in scontri diretti. E
operazioni di contrasto all’infiltrazione jihadista sono state condotte
all’interno dei campi profughi di Arsal e in altre località all’interno dei
confini nazionali (Ras Sharj, Sanabil e altri due campi minori); operazioni che
avrebbero portato, secondo fonti ufficiali, alla cattura di 486 soggetti
sospettati di essere membri di Jabhat al-Nusra e dell’IS, coinvolti negli
scontri delle scorse settimane e operativi dagli stessi campi per rifugiati,
unitamente ad armi, equipaggiamenti e materiale informatico. Il 24 settembre
altri tre campi della Beqaa meridionale, tra le località di Ayn e Jdeidet al
Fakiha, sono stati chiusi dall’esercito libanese: episodi che hanno provocato
reazioni di protesta degli stessi profughi che hanno denunciato maltrattamenti,
violenze e uccisioni arbitrarie da parte dell’esercito di Beirut (nel merito
mancano conferme o dichiarazioni ufficiali dei vertici militari libanesi).
Sul
fronte opposto, IS e Jabhat al-Nusra hanno catturato 29 soldati libanesi – due
dei quali decapitati per rappresaglia e cinque rilasciati – e requisito armi e
veicoli militari; soldati dell’esercito libanese che per oltre un anno hanno
tentato invano di chiudere i passaggi di frontiera precludendo ai gruppi
jihadisti una via di comunicazione tra Siria e Libano, così come al di là del
confine hanno tentato di fare gli omologhi siriani.
Un
tentativo, dell’una e dell’altra parte, che non ha raggiunto lo scopo ma che ha
inevitabilmente portato allo scontro diretto tra jihadisti sunniti –
responsabili di attacchi diretti contro obiettivi sciiti in Libano – e le forze
libanesi affiancate da Hezbollah.
Tripoli
Desta
preoccupazione quanto sta avvenendo nel secondo più importante centro urbano
libanese, abitato in prevalenza da sunniti, dove è confermata una significativa
presenza e attività di IS e Jabhat al-Nusra. Presenza confermata dalla comparsa
di un numero crescente di bandiere nere dello Stato Islamico e dalle minacce
dirette ai cristiani dei villaggi di Minieh e Mina.
E
proprio a Tripoli, alla fine di luglio, le forze speciali libanesi hanno ucciso
Mounzer el-Hassan, jihadista sunnita responsabile del coordinamento logistico
coinvolto nella condotta dei recenti attacchi suicidi contro obiettivi sciiti e
l’ambasciata iraniana nella capitale libanese. Morte che si accompagna
all’arresto di Houssam Sabbagh, jihadista salafita – già combattente in
Afghanistan, Cecenia e Iraq – a capo di una milizia sunnita impegnata in
attacchi contro gli sciiti alawiti di Tripoli e tra i pochi leader locali che
si erano rifiutati di partecipare al “security
plan” proposto dal governo libanese per la città.
Tensioni
e forti preoccupazioni emergono dalle comunità cristiane del Libano che si
preparano al possibile scontro con le forze dell’IS. Per la prima volta dalla
fine della guerra civile, organizzazioni civili hanno avviato un processo di
riarmo finalizzato all’auto-difesa; armi che provengono, per lo più, dalle
milizie comuniste e da Hezbollah.
Elementi
dinamizzanti del conflitto
Hezbollah
è da tempo impegnato, con migliaia dei suoi miliziani, a contrastare la
minaccia dell’IS in Siria; questo ruolo combattente in funzione anti-sunnita ha
indotto gli jihadisti di IS e al-Nusra a rispondere colpendo obiettivi sciiti
all’interno dei confini libanesi. Uno sviluppo del conflitto che ha portato
Hezbollah e gli Stati Uniti (e con essi la Coalizione internazionale) a
combattere sullo stesso fronte.
Questo può significare che Hezbollah
e Usa sono alleati? Certamente no sul piano formale, ma la realpolitik induce a guardare oltre. Hezbollah – inserita da
Washington nella lista delle organizzazioni terroristiche – può invertire il
suo ruolo sul piano internazionale proprio grazie all’impegno nella lotta al
terrorismo (contro l’IS), guadagnando in questo modo legittimità e ampi margini
di manovra politica e militare (dagli indubbi vantaggi sul piano politico
interno e internazionale).
La conferma di questo mutamento di
clima è dato dal sostegno diretto degli Stati Uniti. In primis attraverso il supporto intelligence, concretizzatosi nel contrasto alla minaccia di
attacchi suicidi contro obiettivi sciiti a Beirut. In secondo luogo attraverso
l’elargizione di aiuti militari, in termini di armi ed equipaggiamenti,
ufficialmente forniti all’esercito nazionale del Libano per la difesa delle
frontiere ma, nella pratica, condivisi proprio con Hezbollah che sulle
frontiere è impegnato nel contrasto all’avanzata dell’IS; un fatto, questo,
formalizzato all’indomani della cacciata dei gruppi jihadisti da Arsal dove
Hezbollah ha combattuto al fianco delle forze nazionali. Una forma di supporto
basata sul presupposto della collaborazione tra esercito libanese e Hezbollah;
collaborazione attiva da tempo.
Una decisione sulla quale hanno
certamente influito gli sviluppi in un altro settore del fronte che vede
impegnato Hezbollah, quello al confine con Israele. Sebbene Hezbollah
ufficialmente tenda a ridimensionare il pericolo rappresentato dall’IS, è però
vero che la minaccia continua a rimanere concreta e a preoccupare; a fronte
delle rassicurazioni ufficiali del leader sciita Sayyed Hasan Nasralah, il gruppo siriano Jabhat al-Nusra è riuscito
ad infliggere una battuta d’arresto alle unità di Hezbollah imponendo loro
l’abbandono, e dunque la perdita di controllo, della zona di confine tra la
Siria e il territorio libanese delle fattorie di Shebaa, area di valenza
strategica nel conflitto con Israele. Uno sviluppo tattico che ha portato
all’isolamento di Hezbollah nell’area e alla sua concreta limitazione dello
spazio di manovra; il risultato è il pieno controllo dei militanti jihadisti del
punto nodale del triangolo Siria-Libano-Israele. La crescente instabilità del
Golan conseguente alla presenza di Jabhat al-Nusra, e dunque di IS, è per
Israele una minaccia diretta, così come lo è per la missione Onu, attiva dal
1973, che potrebbe perdere il controllo della regione.
Ragione in più per Hezbollah per
approfittare della generosa offerta di aiuto da parte statunitense.
Breve Analisi conclusiva
Il Libano, caratterizzato da una
forte instabilità politica interna, dalla debolezza del governo e dalle
conflittualità di natura confessionale, potrebbe essere il prossimo obiettivo
della violenta offensiva jihadista.
Il radicalismo è in fase di ascesa e
la lotta per il potere tra la maggioranza sunnita e quella sciita, e le
minoranze cristiana e drusa, rendono il Libano un teatro di facile
destabilizzazione. Una destabilizzazione che, muovendo lungo le linee di
tensione settaria, trova un terreno fertile per il radicamento del
fondamentalismo propugnato dall’IS – così come avvenuto in Siria e in Iraq.
L’IS persegue il proprio obiettivo
di creare un califfato abbattendo tutti i confini nazionali così come li
conosciamo e solamente l’efficace uso dello strumento militare potrà
contrastare tale velleità. Una velleità confermata, tra l’altro, dalla decisione
di nominare un “emiro” del Libano, a cui spetterà il coordinamento di attacchi
diretti contro obiettivi sciiti e personalità pubbliche di rilievo.
In linea con tale approccio, Abou
Malek al-Talleh, “emiro” di Qalamun nominato da al-Nusra, ha recentemente dichiarato
che “migliaia di jihadisti in Libano sono in attesa di ricevere l’ordine di
dare avvio alla battaglia” e che “la guerra è all’orizzonte e non sarà limitata
al confronto con Hezbollah sui confini del paese”, bensì sarà portata nel cuore
del Libano “superando tutte le barriere di sicurezza”.
Propaganda e capacità di
comunicazione mediatica a parte, la situazione è preoccupante e in fase di
peggioramento, in particolare nella regione della Beqaa dove l’IS potrebbe
contare sul sostegno dei villaggi sunniti, dai quali nei mesi scorsi sono
partiti molti volontari per la guerra in Siria.
È inoltre importante sottolineare
che l’IS controlla i valichi della Beqaa verso la Siria e gode della
collaborazione del gruppo jihadista Jabhat al-Nusra, da tempo operativo in
territorio libanese. Il Libano per l’IS rappresenta un obiettivo certamente non
secondario; questo essenzialmente per due ragioni.
La prima è uno sbocco sul
Mediterraneo, funzionale all’ampliamento dell’influenza verso il Maghreb arabo,
ottenibile attraverso l’allargamento della destabilizzazione regionale e la
dispersione sul “campo di battaglia” (strategicamente importante per indebolire
la concentrazione dello sforzo della Coalizione).
La seconda è la volontà di divenire,
attraverso repentini successi, punto di riferimento e coordinamento dei
movimenti jihadisti arabo-sunniti, tra loro collegati ideologicamente, ma privi
di un centro di comando comune. In altri termini l’IS sta cercando di espandere
quanto più possibile la sua azione, in ciò puntando a sostituirsi alla vecchia
rete di al-Qa’ida; e lo farà, come già lo sta facendo, attraverso la lotta sul
campo di battaglia “convenzionale” e una razionale amplificazione
mass-mediatica sul campo di battaglia “virtuale” (nel cui contesto l’IS padroneggia
pienamente le moderne tecniche comunicative: efficaci, a basso costo e ad alta
diffusione).
Recentemente l’IS avrebbe avviato una forma di
collaborazione “informatica” e un dialogo collaborativo con alcuni militanti
egiziani. E proprio guardando all’Egitto è possibile intravvedere nel breve
periodo l’apertura di un nuovo, ulteriore, fronte.
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