MENA Sguardi e Analisi di Claudio Bertolotti

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lunedì 1 dicembre 2014

L’ISIS in Libano: la forza della minaccia terrorista nel Mediterraneo

di Claudio Bertolotti


L’area mediorientale così come l’abbiamo conosciuta sino a ora è irreversibilmente destabilizzata. Il Medio Oriente composto dagli Stati e dai confini nazionali definiti il secolo scorso è definitivamente scomparso, sebbene sia presto per parlare di ridefinizione politica e geografica.
La guerra civile siriana e l’espansione del Califfato islamico, Stato Islamico, IS, ISIS o ISIL – Islamic State in Iraq and Sham (o Levant) – ha portato alla comparsa di un attore molto forte che, sebbene non riconosciuto sul piano formale, si è imposto come proto-Stato teocratico (sunnita) in fase di espansione regionale e con forti “manifestazioni” a livello globale. Una realtà che è in grado di detenere il monopolio della violenza, gestire una propria economia, amministrare la “giustizia” e offrire servizi pubblici a una popolazione stimata di circa sei milioni di abitanti, tra Iraq e Siria: tutto ciò anche attraverso la vendita sottocosto di petrolio. Ma alla preoccupante espansione geografica si unisce quella virtuale e propagandistica condotta sul piano mediatico.
Un’avanzata repentina che è giunta al Mediterraneo, attraverso l’affiliazione di gruppi jihadisti locali, dall’Algeria alla Libia. Ma, sebbene l’attenzione mediatica sia concentrata sul fronte principale siro-iracheno – quello che vede impegnata la nuova Coalizione di oltre quaranta paesi, molti dei quali arabi, e la tacita quanto opportuna collaborazione tra Usa, Siria e Iran –, anche il Libano è stato travolto dal fenomeno IS (Stato islamico), così come il conflitto israele-palestinese è stato interessato da ripercussioni più o meno dirette.
In particolare, la penetrazione e le capacità operative dell’IS in Libano sono significative; numerosi sono i combattimenti registrati tra unità dell’IS e l’esercito nazionale libanese. 

Libano del nord: l’IS dalla Bekaa a Tripoli
Quello che si sta preparando in Libano è il possibile avvio (o riavvio) di una nuova fase di guerra civile; certamente ridotta rispetto al conflitto aperto sul fronte siriano o iracheno, ma pur sempre una guerra combattuta e che porta l’IS a imporsi su un’ampia fascia di territorio che va dall’Iraq al Mediterraneo. 
Arsal 
In particolare, l’area libanese di Arsal è luogo di scontro fisico tra forze di sicurezza libanesi affiancate da Hezbollah, da un lato, e jihadisti, dall’altro, – nominalmente il gruppo qaedista Jabhat al-Nusra di recente schieratosi con il califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, dunque combattenti dell’IS. 
Arsal, attaccata nel mese di agosto dall’IS, è una città della Valle della Beqaa, in prossimità del confine siriano e con una popolazione di circa 40.000 abitanti a predominanza sunnita; ma è anche la città che ospita il più alto numero di profughi in fuga dalla guerra in Siria: almeno 1.100.000 sono i rifugiati registrati nell’area dall’Onu. E Arsal ha un’importanza strategica per i gruppi jihadisti in quanto zona franca utilizzata come base di supporto e riorganizzazione per le operazioni in territorio siriano.
Qui, in occasione di un importante confronto armato, i combattenti dell’IS hanno occupato importanti edifici civili: una scuola, un ospedale e una moschea; con ciò confermando una tecnica ampiamente utilizzata nell’attuale conflitto, così come già in quello israelo-palestinese: indurre il nemico (in genere le forze governative) a colpire obiettivi non militari in modo da provocare una funzionale reazione da parte dell’opinione pubblica, locale e internazionale. 
L’esercito libanese, militarmente non preparato ad affrontare uno scontro allargato, si sta muovendo con estrema cautela cercando di evitare un inasprimento del conflitto e scongiurando l’inizio di una vera e propria guerra sul territorio del Libano. Ma gli scontri sono sempre più intensi e numerosi; così come intensa è l’opera di propaganda mass-mediatica e tradizionale condotta dai combattenti jihadisti proprio in Libano.
Nel complesso sono oltre cinquanta gli appartenenti ai gruppi jihadisti che l’esercito libanese ha dichiarato di aver ucciso in scontri diretti. E operazioni di contrasto all’infiltrazione jihadista sono state condotte all’interno dei campi profughi di Arsal e in altre località all’interno dei confini nazionali (Ras Sharj, Sanabil e altri due campi minori); operazioni che avrebbero portato, secondo fonti ufficiali, alla cattura di 486 soggetti sospettati di essere membri di Jabhat al-Nusra e dell’IS, coinvolti negli scontri delle scorse settimane e operativi dagli stessi campi per rifugiati, unitamente ad armi, equipaggiamenti e materiale informatico. Il 24 settembre altri tre campi della Beqaa meridionale, tra le località di Ayn e Jdeidet al Fakiha, sono stati chiusi dall’esercito libanese: episodi che hanno provocato reazioni di protesta degli stessi profughi che hanno denunciato maltrattamenti, violenze e uccisioni arbitrarie da parte dell’esercito di Beirut (nel merito mancano conferme o dichiarazioni ufficiali dei vertici militari libanesi). 
Sul fronte opposto, IS e Jabhat al-Nusra hanno catturato 29 soldati libanesi – due dei quali decapitati per rappresaglia e cinque rilasciati – e requisito armi e veicoli militari; soldati dell’esercito libanese che per oltre un anno hanno tentato invano di chiudere i passaggi di frontiera precludendo ai gruppi jihadisti una via di comunicazione tra Siria e Libano, così come al di là del confine hanno tentato di fare gli omologhi siriani.
Un tentativo, dell’una e dell’altra parte, che non ha raggiunto lo scopo ma che ha inevitabilmente portato allo scontro diretto tra jihadisti sunniti – responsabili di attacchi diretti contro obiettivi sciiti in Libano – e le forze libanesi affiancate da Hezbollah. 
Tripoli 
Desta preoccupazione quanto sta avvenendo nel secondo più importante centro urbano libanese, abitato in prevalenza da sunniti, dove è confermata una significativa presenza e attività di IS e Jabhat al-Nusra. Presenza confermata dalla comparsa di un numero crescente di bandiere nere dello Stato Islamico e dalle minacce dirette ai cristiani dei villaggi di Minieh e Mina. 
E proprio a Tripoli, alla fine di luglio, le forze speciali libanesi hanno ucciso Mounzer el-Hassan, jihadista sunnita responsabile del coordinamento logistico coinvolto nella condotta dei recenti attacchi suicidi contro obiettivi sciiti e l’ambasciata iraniana nella capitale libanese. Morte che si accompagna all’arresto di Houssam Sabbagh, jihadista salafita – già combattente in Afghanistan, Cecenia e Iraq – a capo di una milizia sunnita impegnata in attacchi contro gli sciiti alawiti di Tripoli e tra i pochi leader locali che si erano rifiutati di partecipare al “security plan” proposto dal governo libanese per la città.
Tensioni e forti preoccupazioni emergono dalle comunità cristiane del Libano che si preparano al possibile scontro con le forze dell’IS. Per la prima volta dalla fine della guerra civile, organizzazioni civili hanno avviato un processo di riarmo finalizzato all’auto-difesa; armi che provengono, per lo più, dalle milizie comuniste e da Hezbollah. 
Elementi dinamizzanti del conflitto 
Hezbollah è da tempo impegnato, con migliaia dei suoi miliziani, a contrastare la minaccia dell’IS in Siria; questo ruolo combattente in funzione anti-sunnita ha indotto gli jihadisti di IS e al-Nusra a rispondere colpendo obiettivi sciiti all’interno dei confini libanesi. Uno sviluppo del conflitto che ha portato Hezbollah e gli Stati Uniti (e con essi la Coalizione internazionale) a combattere sullo stesso fronte. 
Questo può significare che Hezbollah e Usa sono alleati? Certamente no sul piano formale, ma la realpolitik induce a guardare oltre. Hezbollah – inserita da Washington nella lista delle organizzazioni terroristiche – può invertire il suo ruolo sul piano internazionale proprio grazie all’impegno nella lotta al terrorismo (contro l’IS), guadagnando in questo modo legittimità e ampi margini di manovra politica e militare (dagli indubbi vantaggi sul piano politico interno e internazionale).
La conferma di questo mutamento di clima è dato dal sostegno diretto degli Stati Uniti. In primis attraverso il supporto intelligence, concretizzatosi nel contrasto alla minaccia di attacchi suicidi contro obiettivi sciiti a Beirut. In secondo luogo attraverso l’elargizione di aiuti militari, in termini di armi ed equipaggiamenti, ufficialmente forniti all’esercito nazionale del Libano per la difesa delle frontiere ma, nella pratica, condivisi proprio con Hezbollah che sulle frontiere è impegnato nel contrasto all’avanzata dell’IS; un fatto, questo, formalizzato all’indomani della cacciata dei gruppi jihadisti da Arsal dove Hezbollah ha combattuto al fianco delle forze nazionali. Una forma di supporto basata sul presupposto della collaborazione tra esercito libanese e Hezbollah; collaborazione attiva da tempo.
Una decisione sulla quale hanno certamente influito gli sviluppi in un altro settore del fronte che vede impegnato Hezbollah, quello al confine con Israele. Sebbene Hezbollah ufficialmente tenda a ridimensionare il pericolo rappresentato dall’IS, è però vero che la minaccia continua a rimanere concreta e a preoccupare; a fronte delle rassicurazioni ufficiali del leader sciita Sayyed Hasan Nasralah, il gruppo siriano Jabhat al-Nusra è riuscito ad infliggere una battuta d’arresto alle unità di Hezbollah imponendo loro l’abbandono, e dunque la perdita di controllo, della zona di confine tra la Siria e il territorio libanese delle fattorie di Shebaa, area di valenza strategica nel conflitto con Israele. Uno sviluppo tattico che ha portato all’isolamento di Hezbollah nell’area e alla sua concreta limitazione dello spazio di manovra; il risultato è il pieno controllo dei militanti jihadisti del punto nodale del triangolo Siria-Libano-Israele. La crescente instabilità del Golan conseguente alla presenza di Jabhat al-Nusra, e dunque di IS, è per Israele una minaccia diretta, così come lo è per la missione Onu, attiva dal 1973, che potrebbe perdere il controllo della regione.
Ragione in più per Hezbollah per approfittare della generosa offerta di aiuto da parte statunitense. 
Breve Analisi conclusiva 
Il Libano, caratterizzato da una forte instabilità politica interna, dalla debolezza del governo e dalle conflittualità di natura confessionale, potrebbe essere il prossimo obiettivo della violenta offensiva jihadista.
Il radicalismo è in fase di ascesa e la lotta per il potere tra la maggioranza sunnita e quella sciita, e le minoranze cristiana e drusa, rendono il Libano un teatro di facile destabilizzazione. Una destabilizzazione che, muovendo lungo le linee di tensione settaria, trova un terreno fertile per il radicamento del fondamentalismo propugnato dall’IS – così come avvenuto in Siria e in Iraq.
L’IS persegue il proprio obiettivo di creare un califfato abbattendo tutti i confini nazionali così come li conosciamo e solamente l’efficace uso dello strumento militare potrà contrastare tale velleità. Una velleità confermata, tra l’altro, dalla decisione di nominare un “emiro” del Libano, a cui spetterà il coordinamento di attacchi diretti contro obiettivi sciiti e personalità pubbliche di rilievo.
In linea con tale approccio, Abou Malek al-Talleh, “emiro” di Qalamun nominato da al-Nusra, ha recentemente dichiarato che “migliaia di jihadisti in Libano sono in attesa di ricevere l’ordine di dare avvio alla battaglia” e che “la guerra è all’orizzonte e non sarà limitata al confronto con Hezbollah sui confini del paese”, bensì sarà portata nel cuore del Libano “superando tutte le barriere di sicurezza”.
Propaganda e capacità di comunicazione mediatica a parte, la situazione è preoccupante e in fase di peggioramento, in particolare nella regione della Beqaa dove l’IS potrebbe contare sul sostegno dei villaggi sunniti, dai quali nei mesi scorsi sono partiti molti volontari per la guerra in Siria.
È inoltre importante sottolineare che l’IS controlla i valichi della Beqaa verso la Siria e gode della collaborazione del gruppo jihadista Jabhat al-Nusra, da tempo operativo in territorio libanese. Il Libano per l’IS rappresenta un obiettivo certamente non secondario; questo essenzialmente per due ragioni.
La prima è uno sbocco sul Mediterraneo, funzionale all’ampliamento dell’influenza verso il Maghreb arabo, ottenibile attraverso l’allargamento della destabilizzazione regionale e la dispersione sul “campo di battaglia” (strategicamente importante per indebolire la concentrazione dello sforzo della Coalizione).
La seconda è la volontà di divenire, attraverso repentini successi, punto di riferimento e coordinamento dei movimenti jihadisti arabo-sunniti, tra loro collegati ideologicamente, ma privi di un centro di comando comune. In altri termini l’IS sta cercando di espandere quanto più possibile la sua azione, in ciò puntando a sostituirsi alla vecchia rete di al-Qa’ida; e lo farà, come già lo sta facendo, attraverso la lotta sul campo di battaglia “convenzionale” e una razionale amplificazione mass-mediatica sul campo di battaglia “virtuale” (nel cui contesto l’IS padroneggia pienamente le moderne tecniche comunicative: efficaci, a basso costo e ad alta diffusione). Recentemente l’IS avrebbe avviato una forma di collaborazione “informatica” e un dialogo collaborativo con alcuni militanti egiziani. E proprio guardando all’Egitto è possibile intravvedere nel breve periodo l’apertura di un nuovo, ulteriore, fronte. 



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