MENA Sguardi e Analisi di Claudio Bertolotti

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lunedì 1 dicembre 2014

LIBANO – Effetti della guerra in Siria e del conflitto Israele-Hamas




di Claudio Bertolotti


L’ultima offensiva israeliana contro Hamas si inserisce nel complesso contesto di conflittualità regionale che coinvolge, direttamente e indirettamente, anche il Libano.
In quest’ottica, non è possibile non menzionare Israele e parlare di come la crisi siriana – e in minima parte le recenti azioni militari all’interno della Striscia di Gaza (operazione “Protective Edge”) – stia influenzando il suo rapporto con il Paese dei Cedri. 
L’approccio generale di Israele alla crisi regionale – con particolare attenzione alla Siria e all’Iraq – riflette in parte le preoccupazioni per il crescente peso di importanti attori non statali, come il libanese Hezbollah (operativo in Siria e in grado di controllare la quasi totalità dell’area a ridosso della “Linea Blu”) e, più recentemente, il gruppo qaedista Jabhat al-Nusra (contrapposto proprio ad Hezbollah nel conflitto siriano) e le decine di gruppi radicali di opposizione armata operativi in Siria, ma presenti e in minima parte attivi anche in territorio libanese.
Pur tenendo conto degli storici rapporti conflittuali caratterizzanti le dinamiche diplomatico-militari tra Siria e Israele, l’attenzione dello stato ebraico è concentrata: 
-    sull’attività di riduzione delle capacità operative di Hamas impegnate nell’offensiva (tattica e psicologica) contro lo stato e il territorio israeliano; 
-    sulle possibili e negative ripercussioni di un eventuale collasso del regime bahatista siriano. 

L’approccio razionale di Hezbollah
Ragioni di opportunità, indurrebbero Hezbollah e Israele – soggetti da sempre contrapposti – a non riaccendere le storiche conflittualità; conflittualità che avrebbero ripercussioni negative per entrambi: certamente per Hezbollah, attualmente impegnato nel conflitto siriano con circa 4-5.000 dei suoi elementi operativi, e altrettanto per Israele, concentrato nella repressione dell’offensiva di Hamas. Una condizione di opportuno vantaggio per il Libano, frutto di una scelta razionale da parte della dirigenza del partito sciita filo-iraniano, unico soggetto forte in grado di controllare il sud del paese. 
Il pericolo concreto deriverebbe invece dalla vivace e ingombrante presenza di gruppi radicali sunniti di orientamento jihadista, almeno stando alle dichiarazioni ufficiali di un Hezbollah desideroso di affrancarsi da qualunque azione che possa turbare l’attuale precario equilibrio e che allontani l’ipotesi di confronto diretto con Israele. Anche a luglio, sono stati registrati violenti scontri tra Hezbollah e al-Nusra sul confine tra Siria e Libano all’interno dei villaggi di Arsal e di Al-Fakiha. Secondo fonti locali, sarebbero morti due membri di Hezbollah e dozzine di combattenti del gruppo radicale siriano.
In tale contesto, le reazioni ai quattro improvvisati e isolati lanci di razzi dal Libano verso la Galilea settentrionale (area di Kiryat Shmona), avvenuti tra l’11 e il 14 luglio, rappresentano la cartina tornasole del tacito accordo tra le parti: 
-  Israele ha risposto al fuoco con alcuni colpi di artiglieria – e non avrebbe potuto essere diversamente – colpendo un’area (Hasbaya, nel settore orientale della “Linea Blu”) lontana da centri abitati e distante alcuni chilometri dal luogo del lancio; in pratica un’azione dimostrativa priva di conseguenze concrete (né danni materiali, né vittime). 
-  La polizia libanese ha provveduto all’arresto immediato (all’interno di un’area sotto il controllo di Hezbollah) di Hussein Atwe, il solitario “combattente” reo confesso di aver lanciato i razzi Katiuscia da 107 millimetri, con il supporto di altri due “palestinesi”, e di essere parte del gruppo radicale della Jamaa Islamiya (elemento di quella galassia fondamentalista sunnita che Hezbollah afferma di voler combattere); con ciò prevenendo una possibile reazione formale (leggasi accusa) da parte di Israele. 
-  Hezbollah (nemico storico di Israele), fermamente intenzionato ad allontanare l’ipotesi di un coinvolgimento diretto, ha puntato il dito contro generici “fondamentalisti sunniti” (in un secondo momento indicati come appartenenti alla Jamaa Islamiya, escludendo lo “Stato Islamico” o Jabhat al-Nusra) e si è dissociato dall’operato di Hamas (e dalla Fratellanza Musulmana ad esso collegata e impegnata in Siria contro il regime di Assad) esprimendo il proprio esclusivo “sostegno politico e morale alla resistenza palestinese”, ma nulla di più e, in particolare, niente di concreto; con buona pace di Israele e dello stesso Libano. 
-  Infine, la missione delle Nazioni Unite, Unifil, attraverso la dichiarazione del generale italiano Paolo Serra, ha definito il lancio di razzi dal territorio libanese come una violazione della risoluzione Onu n.1701 che va “sicuramente a scuotere la stabilità della regione”. Ma al di là delle parole di circostanza, il sud del Libano continua a rimanere oggi l’area più stabile dell’intero Medio Oriente. 

I venti siriani sul Libano
L’incremento delle violazioni, da parte di elementi armati, nell’area demilitarizzata sul fronte siriano del Golan (alcuni dei razzi caduti su territorio israeliano sono stati lanciati da quest’area) suggerisce una limitata capacità del governo centrale di Damasco di rispettare, e far rispettare, quei trattati grazie ai quali negli ultimi quarant’anni è stata garantita la pace.
 Israele si trova così di fronte ad una serie di importanti sfide.
La prima di queste è rappresentata dalla volontà di contrasto all’acquisizione da parte di Hezbollah di missili terra-aria, missili balistici e armamenti chimici provenienti dagli arsenali siriani. 
In tale ottica, Israele si sarebbe concentrato sull’attività di intelligence e su azioni operative mirate, come testimoniano gli attacchi contro convogli trasportanti sofisticati sistemi missilistici contraerei (“Fateh-10”) provenienti dall’Iran e destinati a Hezbollah e, ancora, contro il centro di ricerche e studi siriano di Damasco, indicato come centro di sviluppo e  produzione per armi biologiche e chimiche.
Ma ciò che più preoccupa Israele è il possibile “end state” siriano. 
Da una parte, si impongono i timori di una Siria atomizzata in mano a gruppi di orientamento jihadista o la sostituzione del governo bahatista con un “repubblica islamica” che aprirebbe le porte ai gruppi salafiti, una diretta ed esplicita minaccia alla sicurezza di Israele; dall’altra, l’alternativa più probabile potrebbe essere la vittoria delle forze governative siriane, il che non si tradurrebbe però in un mero ritorno allo status quo ante.
Il futuro scenario potrebbe infatti essere rappresentato da un regime in mano agli al-Assad (o comunque al partito al-Baath), indebolito sul piano esterno e ancor più su quello interno e fortemente dipendente da un Hezbollah che, da questo rapporto simbiotico, potrebbe ottenere significativi vantaggi sul fronte libanese.

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