di Claudio Bertolotti
Dopo
tre tentativi “falliti” di eleggere il nuovo presidente della repubblica
libanese, il 25 maggio scorso è scaduto il mandato del presidente uscente Michel
Sleiman: il paese è così entrato in un periodo di presidenza vacante, la terza
nella storia del Libano moderno dopo il 1988 e il 2007. Ma la situazione
attuale si differenzia dalle precedenti per gli strascichi della guerra
siriana; strascichi che vanno ben oltre le porte del paese dei cedri, tanto da
poter considerare la guerra civile in Siria come una questione direttamente
libanese (considerazione avvalorata dal coinvolgimento diretto di attori
libanesi nello stesso conflitto, al fianco e contro il regime di Assad).
Sul
piano delle relazioni internazionali Arabia Saudita e Iran avrebbero
avviato un dialogo finalizzato alla
stabilizzazione della Siria; se tale apertura fosse confermata ciò
rappresenterebbe nel concreto un passo in avanti nel processo di riduzione
delle conflittualità siriane scaturite con la guerra (e non causa della stessa).
Ma
la questione siriana pesa anche, e forse più, sul livello politico interno e
sulla stessa sicurezza domestica; e data l’attuale instabilità, e le criticità
connesse al coinvolgimento degli attori libanesi proprio nella sanguinosa
guerra regionale che vede nella Siria il campo di battaglia formale, viene da
più parti richiesto un impegno sostanziale da parte del primo ministro Tammam
Salam affinché contribuisca a sciogliere i nodi di un empasse politico le cui conseguenze economiche e sociali destano
preoccupazione, in particolare per la Comunità internazionale impegnata, anche
militarmente, in Libano. Un tiepido ottimismo discende da alcune recenti
dichiarazioni di funzionari sauditi che indurrebbero a non escludere la possibilità
di una ripresa economica, in parte sostenuta da una politica di incentivazione
allo stesso turismo saudita.
Ma
rimane pur sempre il problema della sicurezza a tenere frenata un’economia
fortemente in bilico; e un qualunque incidente avrebbe ripercussioni
drammatiche proprio sull’economia interna, il che provocherebbe contraccolpi,
anche gravi, sul piano sociale: la stabilità interna passa, dunque,
inevitabilmente attraverso un soddisfacente processo di stabilizzazione
economica.
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