di Claudio Bertolotti
articolo pubblicato su ITSTIME
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
Il contributo dell’Italia al cambio di approccio concettuale e nel contrasto al “nuovo terrorismo insurrezionale
“Noi non abbiamo la cultura del terrorismo, è un problema regionale”: queste le parole usate dal presidente tunisino Beji Caid Essebsi nel proclamare, il 4 luglio, lo stato di emergenza nazionale in risposta all’avanzata dell’ISIS in Tunisia; parole perfettamente in linea con il contributo di pensiero e analisi prodotto dall’Italia[1] e contenuto nel documento su “terrorismo, sicurezza delle frontiere e criminalità transnazionale” che ha visto impegnati gli esperti della “5+5 Defense iniziative 2015”, attività coordinata dal CEMRES di Tunisi – Euro-Maghreb Center for Research and Strategic Studies, per conto dei ministri della Difesa dell’area “5+5” (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Malta, Mauritania, Marocco, Algeria, Libia e Tunisia).
Il governo tunisino ha sinora affrontato la minaccia con un limite non indifferente che ne frenava le potenziali capacità: l’approccio concettuale. Le norme di linguaggio del governo tunisino – è sufficiente leggere i precedenti comunicati stampa istituzionali – imponevano di utilizzare il termine “terrorismo” per indicare il fenomeno insurrezionale proveniente dal medio e vicino Oriente e insistevano nel collocarlo nella categoria delle problematiche interne a uno stato nazionale (e che come tali devono essere affrontate dai singoli stati nazionali, con esplicito riferimento alla Libia). Oggi la Tunisia ha cambiato metodo, dimostrando di aver recepito le raccomandazioni italiane in merito al cambio di approccio concettuale: “La Tunisia, ormai da tempo minacciata dal fenomeno dell’ISIS, deve cambiare approccio culturale nei confronti delle dinamiche conflittuali che ne mettono in pericolo la stabilità, imparando a distinguere il classico «terrorismo» nazionale dall’attuale minaccia, che terrorismo tout court non è. Una nuova ed efficace forma di violenza transnazionale che impone un cambio concettuale nel processo di definizione della strategia di contrasto; non più, dunque, minaccia interna agli stati nazionali ai quali è demandato l’onere della repressione del fenomeno, bensì un pericolo comune contro cui è necessaria una strategia condivisa a livello regionale”: questa è la sintesi dell’analisi, pubblicata nel mese di febbraio per l’Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies (ITSTIME), e sostenuta da chi scrive – unico ricercatore italiano alla “5+5 Defense iniziative 2015” – in occasione della prima riunione del gruppo di lavoro di Tunisi del 18-19 febbraio.
Dopo poche settimane dal primo tavolo dei lavori, il 18 marzo, veniva portato a termine l’attacco contro il museo del “Bardo” a Tunisi; in quell’occasione persero la vita ventiquattro persone (quattro italiane), per mano di un commando i cui legami operativi e ideologici si estendevano ben al di là dei confini tunisini. Un evento che rappresenta il momento di svolta formale nel processo di espansione e nella condotta dell’offensiva del fondamentalismo jihadista dell’ISIS in Tunisia; benché il governo tunisino, e con esso i media e la comunità internazionale, abbiano erroneamente perseverato nel mantenere l’iniziale approccio, semplificato e parziale, orientato a una “minaccia terroristica interna”.
La seconda riunione del gruppo di lavoro della “5+5 Defense iniziative 2015” si è tenuta il successivo 15 giugno – pochi giorni prima della strage di Sousse del 26 giugno in cui hanno perso la vita 38 persone (la maggior parte europee); in tale occasione, a cui ha preso parte anche la delegazione libica (assente al primo incontro di febbraio), l’Italia è riuscita a far approvare unanimemente l’inserimento nel documento condiviso del nuovo concetto di minaccia contemporanea: il “nuovo terrorismo insurrezionale” (NIT – New Insurrectional Terrorism).
Un concetto chiave che, in estrema sintesi, definisce un fenomeno – basato su vecchie e nuove dinamiche transnazionali – connesso con altri fenomeni insurrezionali, criminali e di opposizione locali e regionali. Un fenomeno il cui fine non è la semplice destabilizzazione di un governo o un paese all’interno di confini internazionalmente riconosciuti, bensì la rimozione di interi complessi governativi, istituzionali, delle frontiere, senza alcuna considerazione per il diritto e le convenzioni riconosciute sul piano delle relazioni internazionali.
Per queste ragioni, è opinione di chi scrive che si debba procedere a una revisione complessiva dell’approccio concettuale; un approccio che deve basarsi sulla consapevolezza delle dinamiche complesse che influiscono su un fenomeno che è, in primis, denazionalizzato – e composto da soggetti a loro volta denazionalizzati, ovvero che si riconoscono come appartenenti alla nuova realtà statale, il califfato, la ummah – e influenzato da dinamiche locali, regionali e globali di ampio spettro.
Dunque, è opportuno prendere atto che una categorizzazione del fenomeno come dinamica di natura nazionale e limitata all’interno di formali confini statali è ormai anacronistica e potrebbe indurre a un confronto inefficace con la minaccia e alla conseguente improduttiva strategia di contrasto.
Conclusioni e raccomandazioni
Perché il cambio di approccio concettuale della Tunisia è così importante? Lo è perché in base a quelle che saranno le strategie messe in atto dal governo tunisino, in cooperazione con i partner africani ed europei, si delineerà il futuro prossimo della Tunisia, dell’Africa e dell’Italia. Se anche la Tunisia – politicamente fragile, economicamente e socialmente a rischio di destabilizzazione – non sarà in grado di reggere all’avanzata dell’ISIS, il rischio è il collasso e l’insorgenza di una guerra aperta: questa sarebbe una minaccia diretta per l’Italia, anche per ragioni di vicinanza geografica.
Dunque, una strategia di contrasto – basata sulla condivisa consapevolezza della minaccia da affrontare – dovrà prima contenere e sconfiggere il jihad insurrezionale a livello regionale. Così facendo ne ridurrà la spinta propulsiva e, conseguentemente, la sua portata a livello globale. L’alternativa è rappresentata da uno scenario fortemente destabilizzato e incerto il cui rischio potenziale può essere così sintetizzato:
- destabilizzazione della Tunisia, e dei paesi della sponda sud del Mediterraneo, come conseguenza del caos libico;
- incapacità di contenere una minaccia puntiforme su un’area territoriale allargata;
- perdita di controllo delle aree periferiche e di confine;
- collasso del sistema di difesa e controllo dei confini dell’area maghrebina e caos regionale;
- cooperazione tra criminalità transnazionale, gruppi di opposizione armata e insurrezione jihadista/ISIS;
- ruolo crescente della criminalità transnazionale nel business dei flussi migratori;
- rischio di infiltrazione jihadista – anche connessa ai flussi migratori;
- insicurezza dell’area mediterranea occidentale: insorgenza del fenomeno della pirateria in connessione con il traffico di armi, di droga e di esseri umani;
- riduzione dei traffici commerciali e delle attività legate alla pesca nel Mediterraneo con dirette e gravi ripercussioni sul piano socio-economico.
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